martedì 25 gennaio 2011

Cuffaro. Della mafia e d’altri demoni.


Consegnarsi spontaneamente all’autorità giudiziaria dopo una condanna definitiva a sette anni per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra e violazione del segreto istruttorio non è un gesto da eroi. È la prassi, l’ovvio procedere degli eventi. Si è incriminati, processati e, se condannati, si va in galera. Dunque Totò “VasaVasa” Cuffaro non ha fatto nessun gesto che meriti di essere ricordato, non ha dimostrato nessuna dignità particolare: se uno viene condannato e non si consegna spontaneamente, vanno comunque a prenderlo. Il carcere dopo una condanna non è una scelta. Dunque nessun omaggio, nessuno chapeau a un delinquente che paga le sue colpe.
Ma la vicenda di Cuffaro è uno di quei poemi che trasudano significati e simbologie da ogni verso.Non dovrebbe esserci motivo d’orgoglio se un parlamentare, che in linea di principio rappresenta il popolo in Parlamento (sistemi elettorali-porcata a parte), va in galera. Se si scopre che l’uomo che per anni da governatore ha rappresentato la Sicilia, nel frattempo ha aiutato la più potente e pericolosa associazione criminale dell’isola e d’Italia c’è solo da fare mea culpa. La condanna di Cuffaro è la prova del nove dell’equazione che per decenni ha offeso il popolo siciliano: Sicilia=Mafia. Si è scoperto il valore della x dell’equazione: non c’è più nessuna incognita. È la conferma che abbiamo votato un mafioso, perché la nostra coscienza è mafiosa, perché alla mafia, in un certo senso, si viene educati fin da bambini. Perché quando si accettano in silenzio le ingiustizie, quando si accettano favori e agevolazioni in nome di antiche o recenti amicizie, quando si ricorre al compare piuttosto che agli iter tradizionali, altro non si fa che riflettere l’organizzazione mafiosa, che bypassa le leggi e le procedure istituzionali e utilizza il proprio modus operandi, attraverso i propri uomini, i propri mezzi, le proprie priorità. Le elezioni del 28 maggio 2006 in Sicilia portarono in campo una scelta che non era solo politica, non erano destra e sinistra e sfidarsi. Lo scontro Cuffaro-Borsellino era una metafora molto chiara: mafia VS antimafia. Chi era di destra a quelle elezioni aveva la possibilità di scegliere il terzo candidato, Nello Musumeci, exAN. La vittoria di Cuffaro, all’epoca UdC, a quelle elezioni, 53% contro il 41% della Borsellino, rappresentò la sconfitta di un popolo che sceglie e reclama a gran voce come proprio governatore un uomo, le cui implicazioni con l’associazione mafiosa erano già allora note visto che nel settembre del 2005, nemmeno un anno prima delle elezioni, il governatore uscente era stato rinviato a giudizio per gli stessi reati per i quali lo scorso 22 gennaio è arrivata la condanna definitiva a sette anni.
Adesso si attende trepidanti la conferma della condanna per concorso esterno in associazione mafiosa, più grave di quella appena comminata perché dimostra che il favoreggiamento alla mafia non fu episodico, ma che esiste uno stretto legame tra l’imputato e la mafia. Se ciò avvenisse, ai sette anni se ne aggiungerebbero altri dieci in luogo dei quindici previsti per via dello sconto di un terzo della pena previsto dal rito abbreviato.
Nessun crimine invece se ci si lascia andare a similitudini e analogie.
Vedere un uomo che ha favoreggiato la mafia andare in galera e non in una mega villa a fare “bunga bunga” ci ricorda che non sempre il male resta impunito.
L’immagine di “VasaVasa” dietro le sbarre è la metafora di una speranza: che ogni politico che ha commesso dei reati, che ogni politico che ha avuto rapporti con la mafia, con la ‘ndrangheta o la camorra, non resti impunito. Nemmeno se ricopre la carica di Presidente del Consiglio.


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