Per ricordare gli eroi e il valore della resistenza partigiana, citiamo una bellissima pagina tratta dalla prefazione di "Partigiani della montagna" un libro di Giorgio Bocca del 1945 ripubblicato nel 2004 che racconta cosa è stata la Resistenza, "che vuol dire ai revisionisti dell'ultima ora: le cose sono andate esattamente così".
Vogliamo "ricordare quella forte pagina di solidarietà e di civile dignità che oggi paiono quasi impossibili".
"A ripensarci sessant’anni dopo, ci chiediamo come sia stata possibile quella guerra di liberazione.
Non la Liberazione del 25 aprile 1945, dell’insurrezione, della discesa nella pianura e nelle città, ma la liberazione di ciascuno di noi dal provincialismo, dal fascismo, dal perbenismo piccolo-borghese.
La prima e più importante cosa che i libri di storia non spiegano, che i documenti non raccontano della guerra partigiana è questo stato d’animo di libertà totale ritrovata proprio negli anni in cui un giovane normale conosce il suo destino obbligato: quale posto, quale lavoro, quale ceto, quale donna sono stati preparati e spesso imposti per lui; quale sarà la sua prevedibile vita, quali vizi dovrà praticare per cavarsela, dove troverà il denaro per campare.
E invece, d’improvviso, in un giorno del settembre del ’43, si ritrova totalmente libero, senza re, senza duce, libero e ribelle, con tutta la grande montagna come rifugio.
Libero anche dal denaro e dalla famiglia. Sì, certo, la famiglia e i suoi affetti rimangono, ma che sia ben chiaro, a casa non si torna fin quando dura la meravigliosa avventura della libertà, dell’essere padrone del proprio destino. Alea iacta est, avremmo potuto dirci quel pomeriggio di settembre in cui varcavamo non il Rubicone ma la Stura di Demonte, diretti alla montagna della Val Grana, verso il Comboscuro degli occitani.
Libertà e intransigenza. Noi giovani eravamo stati, nel fascismo morente, dei possibilisti, dei tira a campare, non più fascisti, cauti antifascisti, ma quell’8 di settembre che ci ha fatti rinascere, ci ha dato un’identità nuova, estrema, irriducibile. La normalità è scomparsa, gli altri è come non ci fossero più, restiamo noi e loro, i primi nuclei partigiani come piccole stelle, piccoli fuochi sulle montagne e loro, i tedeschi, che bruciano i nostri villaggi come nel passato i mori, i gallo-ispani, le soldataglie del Delfino. Noi e l’occupante, in una guerra così impari da esaltarci, da indurirci, da farci sembrare nemici tutti quelli che hanno accettato l’occupazione: anche quelli che lavorano per i tedeschi, anche gli impiegati del distretto o del comune.
Non la Liberazione del 25 aprile 1945, dell’insurrezione, della discesa nella pianura e nelle città, ma la liberazione di ciascuno di noi dal provincialismo, dal fascismo, dal perbenismo piccolo-borghese.
La prima e più importante cosa che i libri di storia non spiegano, che i documenti non raccontano della guerra partigiana è questo stato d’animo di libertà totale ritrovata proprio negli anni in cui un giovane normale conosce il suo destino obbligato: quale posto, quale lavoro, quale ceto, quale donna sono stati preparati e spesso imposti per lui; quale sarà la sua prevedibile vita, quali vizi dovrà praticare per cavarsela, dove troverà il denaro per campare.
E invece, d’improvviso, in un giorno del settembre del ’43, si ritrova totalmente libero, senza re, senza duce, libero e ribelle, con tutta la grande montagna come rifugio.
Libero anche dal denaro e dalla famiglia. Sì, certo, la famiglia e i suoi affetti rimangono, ma che sia ben chiaro, a casa non si torna fin quando dura la meravigliosa avventura della libertà, dell’essere padrone del proprio destino. Alea iacta est, avremmo potuto dirci quel pomeriggio di settembre in cui varcavamo non il Rubicone ma la Stura di Demonte, diretti alla montagna della Val Grana, verso il Comboscuro degli occitani.
Libertà e intransigenza. Noi giovani eravamo stati, nel fascismo morente, dei possibilisti, dei tira a campare, non più fascisti, cauti antifascisti, ma quell’8 di settembre che ci ha fatti rinascere, ci ha dato un’identità nuova, estrema, irriducibile. La normalità è scomparsa, gli altri è come non ci fossero più, restiamo noi e loro, i primi nuclei partigiani come piccole stelle, piccoli fuochi sulle montagne e loro, i tedeschi, che bruciano i nostri villaggi come nel passato i mori, i gallo-ispani, le soldataglie del Delfino. Noi e l’occupante, in una guerra così impari da esaltarci, da indurirci, da farci sembrare nemici tutti quelli che hanno accettato l’occupazione: anche quelli che lavorano per i tedeschi, anche gli impiegati del distretto o del comune.
Quello stato d’animo! Dopo viene la storia e, come tutte le storie, un va e vieni senza ordine: gli uomini e le armi della iv armata arrivata dalla Francia a sciogliersi nel Cuneese, breve illusione cui segue il tutti a casa irresistibile, poi la voce di un prossimo sbarco degli alleati anglo-americani in Liguria, subito smentito. E invece arriva la guerra totale contro un nemico che è, come dice Benedetto Croce, "non l’umano avversario / delle umane guerre / ma l’atroce presente nemico / della umanità": Boves incendiata, gli ebrei di Meina fucilati sul lungolago, il gruppo ribelle di San Martino presso Varese sterminato.
Contro il terrore non c’è che il terrore. Chi, a distanza di soli sessant’anni, giudica la Resistenza dimentica la prova durissima a cui è stata sottoposta. Nei territori occupati cade il rispetto per le donne e per gli infanti. La guerra di Hitler non ha limiti, non c’è speranza di ammansirla, non resta che combatterla. I giorni della libertà ma anche della necessità. I mille che salgono in montagna nel settembre del ’43 devono imparare tutto, e si impara presto quando la storia esce dalle sue forme consuete e mostra la sua faccia feroce." (Giorgio Bocca, Partigiani della montagna)
Contro il terrore non c’è che il terrore. Chi, a distanza di soli sessant’anni, giudica la Resistenza dimentica la prova durissima a cui è stata sottoposta. Nei territori occupati cade il rispetto per le donne e per gli infanti. La guerra di Hitler non ha limiti, non c’è speranza di ammansirla, non resta che combatterla. I giorni della libertà ma anche della necessità. I mille che salgono in montagna nel settembre del ’43 devono imparare tutto, e si impara presto quando la storia esce dalle sue forme consuete e mostra la sua faccia feroce." (Giorgio Bocca, Partigiani della montagna)
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