L’immigrazione è oramai un tema diffuso e ricorrente nelle discussioni odierne e presenta un’elevatissima complessità sociale e culturale. Da un lato, infatti, la società odierna si prefigge l’obiettivo di essere disponibile e aperta verso coloro che, non avendo un impiego che permetta loro di mantenere se stessi e la propria famiglia, lasciano la loro patria alla volta di nuove terre che offrano loro nuove opportunità, compresa quella di sfamarsi e dunque sopravvivere. L’immigrazione e il suo opposto, l’emigrazione, fanno parte di un grave disagio sociale presente in paesi dalla situazione economica in crisi e della cui realtà politica e sociale non permette il viver sereno della popolazione che dunque è costretta ad emigrare e a lasciare la propria terra natia. La stessa Italia si è trasformata da poco tempo da paese di emigranti a uno di immigranti. Questo fatto determina il livello di attualità del tema nazione e immigrazione. La domanda è: cosa comporta, per noi nazione che accoglie, l’ingresso di persone diverse da noi per cultura, lingua e origini storiche? Quali sono i vantaggi e quali gli svantaggi nella creazione di una società multietnica? La risposta è assai semplice: la nazione perde valore dal punto di vista della sua identità, mentre espande i propri orizzonti allargando la propria mentalità e incorporando al suo interno nuove genti che, con il loro punto di vista e le loro culture, contribuiscono a fare dello stato e della società un luogo di dibattito e a dare il proprio contributo alla vita intellettuale e lavorativa del Paese. Una nazione che accoglie gli immigranti a braccia aperte è una nazione che esercita una più equa distribuzione dei diritti e dei doveri e che non fa distinzioni tra i propri cittadini. A questa visione utopistica della società multietnica si contrappone però un altro punto di vista: che senso ha parlare di nazione multietnica se di fatto uno stato con diverse culture e genti non presenta gli elementi per essere definita nazione? Una nazione infatti è una società di genti affini per storia, interessi e cultura; e allora che senso avrebbe parlare di nazione se di fatto questi caratteri base non esistono? E’ importante inoltre riflettere sulla divisione sociale interna che può esserci in uno stato cosmopolita: non può infatti accadere che tra i gruppi etnici vi siano contrasti ideologici e culturali che rendano il paese di fatto non unito? A ciò si aggiunge la paura, spesso irrazionale, di chi in Italia ci è nato e vissuto, e vede ciò che ama mutare irreversibilmente in un prodotto nuovo e spesso non ben definito e affrettato. E’ dunque utile osservare i casi esistenti che possono darci esempi e dimostrazioni di diverse scelte. Gli Stati Uniti, per esempio, sono un paese multietnico per costituzione. Essi, infatti, nascono in contrapposizione alla Vecchia Europa e al suo reazionismo ideologico, oltre che per liberarsi dal giogo della colonizzazione Britannica. Gli Stati Uniti sono oggi, probabilmente, la nazione più forte al mondo e ciò grazie anche alle menti e alle braccia che affluirono da tutto il mondo e diedero una mano nel costruire gli U.S.A. che conosciamo oggi. Tuttavia, è ben noto che negli Stati Uniti non sempre vi è la perfetta integrazione di tutte le culture da parte di tutti i gruppi etnici, con perfino sfoghi ed eccessi di violenza e razzismo. La massa popolare statunitense inoltre non è compatta ideologicamente, e questo contribuisce a dividerla e a dare potere a chi, come politici e alti imprenditori, sfrutta questi caratteri della popolazione per i propri interessi. D’altra parte, una nazione compatta e forse anche troppo chiusa dal punto di vista delle proprie frontiere, la Svizzera, è oggi un paese forte economicamente e i cui abitanti convivono in un buon grado di unione. Di fronte inoltre agli esempi di Europa, Giappone e del resto del mondo, la questione si complica un poco. E’ dunque tempo di dire addio all’Italia che conosciamo, o di riaffermarne i valori e le origini? D’altra parte è utile esaminare i problemi di chi emigra: molti paesi di emigranti sono, come detto sopra, realtà difficili di vita sociale, economica e politica. Spesso questi problemi derivano dall’arretratezza storica di stati che non si sono ancora definiti, e altre volte derivano dalle nostre amate multinazionali che sfruttano le genti di quei paesi già abbastanza afflitti per conto loro, creando un colonialismo nuovo e persino più duro, poiché non è il colonialismo di nazioni su nazioni, ma di imprenditori su popoli. C’è anche chi dice che l’immigrazione fa parte pienamente della società industrializzata moderna, poiché gli immigranti costituirebbero un tipo di manodopera e quindi un tipo di forza lavoro che in molte società odierne sta scomparendo. Gli immigrati, infatti, accettano spesso di buon grado lavori che un cittadino occidentale di nascita oggi non accetterebbe di fare, in particolar modo quelli manuali e quelli molte volte definiti come i più umili ma al contempo tra i più importanti per la società. C’è dunque la possibilità che senza più immigrati disposti a svolgere queste mansioni l’economia crolli, o, comunque, perda una parte di produttività indispensabile. E’ anche vero, però, che molti giovani oggi vivono col terrore di non trovare un impiego e quindi dare lavoro ad una massa sempre crescente di immigrati vorrebbe dire portare via spazio alle nuove generazioni che di diritto dovrebbero aver modo di produrre per il Paese. A questo fatto si aggiunge anche un elemento non trascurabile come quello del lavoro in nero: alcuni imprenditori, infatti, approfittano di immigrati che sono disposti a qualunque cosa pur di avere di che vivere, e perciò vengono “accolti” da queste persone che, dando loro un lavoro poco retribuito e senza assicurazioni e tutele garantite per legge ai lavoratori, riescono a guadagnare e ad aumentare la produttività delle proprie imprese abbattendo i costi di produzione. Ai problemi “tecnici” si aggiunge anche la questione morale, che non per tutti è importante ma che per alcuni è al primo posto. C’è infatti chi pensa che aiutare il prossimo sia nostro dovere ed obbligo e che, alla fine, essendo per gran parte nostra la colpa delle loro miserie, vadano dunque accolti e sostenuti gli immigrati con la volontà di servire la loro nuova casa. Viste queste diverse facce della medaglia, sorgono prepotenti le domande: cosa deve fare dunque l’Italia? E quale ruolo abbiamo noi cittadini sulla situazione sociale ed economico-politica del mondo? Accogliere nuove genti nella nostra realtà sviluppata può dare una vita decorosa a chi emigra? E soprattutto, accogliere persone e culture nuove fa del bene a noi come popolo italiano? Ad ognuno il proprio cavallo di battaglia, ovviamente, ma occorre riflettere con attenzione e invito a formulare i propri pareri con la logica e il rigore che sono d’obbligo in una riflessione intrapresa scientificamente e da un punto di vista prima oggettivo e, solo poi, soggettivo.
“Sono un cittadino, non di Atene o della Grecia, ma del mondo.” Socrate
“Sarà molto interessante leggere i romanzi di chi è metà marocchino e metà spagnolo, cinese e spagnolo, senegalese e spagnolo. Credo che lo sguardo del figlio dell'immigrato sia molto ricco, perché è doppio: guarda dal mondo a cui appartengono i suoi genitori, quello delle radici, e dal mondo nuovo a cui lui già appartiene. Nei due mondi si sente al tempo stesso a casa e straniero. Sono le due esperienze fondamentali per scrivere: conoscere molto bene qualcosa e al tempo stesso vederla un po' come da fuori.” Antonio Munoz Molina
“La patria rappresenta l'insieme nel quale mi riconosco coi miei costumi, le mie abitudini tradizionali di pensiero, di comportamento, la lingua, il mio stile di esistenza; la patria è il paesaggio familiare che mi mantiene in pace, sicuro, a mio agio con me stesso; essa si manifesta come ciò al di là del quale sono perduto, e a nessuno di noi piace essere perduto!” Jean Cardonnel
“Tutta la storia della vita sulla Terra ci insegna che la «diversità» è un valore fondamentale. La ricchezza della vita, infatti, è dovuta alla sua diversità: diversità di enzimi, di cellule, di piante, di organismi, di animali. Anche per la storia delle idee è stato così. La diversità delle culture, delle filosofie, dei modelli, delle strategie e delle invenzioni ha permesso la nascita e lo sviluppo delle varie civiltà” Piero Angela.
LUCA STRAZZERA
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