lunedì 6 dicembre 2010

La (silenziosa) strage degli innocenti

Nonostante la situazione politica italiana e il wiki-gate stiano monopolizzando l’attenzione, è doveroso richiamare l’attenzione su una vicenda che avviene non molto distante dall’Italia, appena oltre il Mar Mediterraneo, per la quale nonostante gli appelli di un prete e le interrogazioni di alcuni nostri parlamentari, si è scelto il silenzio.
Un mese fa 80 profughi eritrei sono partiti da Tripoli diretti verso Israele nelle mani di un gruppo di trafficanti pagando 2 mila euro a persona. Durante il viaggio il costo preteso dai trafficanti improvvisamente è diventato di 8 mila euro e nessuno di loro è in condizione di pagare i 6 mila euro mancanti. Per questo motivo, la carovana viene bloccata nel deserto del Sinai, al confine tra la Libia e l’Egitto, per fare in modo che i prigionieri si mettano in contatto con le loro famiglie per far arrivare i soldi necessari al riscatto. Da un mese, queste persone sono bloccate nel deserto in condizioni disumane, senza acqua per lavarsi, legati a gruppi di 25 e chiusi probabilmente in container, sottoposti ad ogni tipo di tortura e maltrattamento. Sei di loro sono stati già uccisi per aver tentato di scappare o per essersi rifiutati di pagare, i loro corpi sono lasciati accanto ai vivi. Tra di loro ci sono anche bambini e donne incinte. E naturalmente non stanno lasciando l’Eritrea per cercare fortuna ma perché il loro paese è oppresso da un regime autoritario e squassato da decenni di guerre e disordini. Questo vuol dire che gli eritrei (come gli etiopi o i somali) che lasciano il loro paese d’origine devono godere del diritto di rifugiati politici, verso i quali le nazioni firmatarie delle convenzioni di Ginevra hanno il dovere del non respingimento e dell’accoglienza. I rifugiati non sono immigrati clandestini. Non sono criminali. Sono solo persone che non hanno scelta. Allora a cosa è dovuta la disperata situazione che si sta verificando nel Sinai? Innanzitutto va detto che il trattato tra l’Italia e la Libia fortemente voluto da Berlusconi e da Gheddafi (dittatore definito dal nostro imbarazzante Presidente del Consiglio come “esempio di libertà”) rende di fatto l’Europa una fortezza blindata: la Libia ha il potere di ricacciare indietro i migranti che vogliono raggiungere l’Italia. Ma questo stato africano nel quale non esistono le elezioni né tanto meno i partiti politici, nel quale non è permesso chiedere asilo politico, non ha ratificato alcuna convenzione riguardante il diritto dei rifugiati, a giugno del 2010 ha chiuso l’ufficio dell’Agenzia Onu per i Rifugiati (UNHCR) e com’è noto è uno degli ultimi paesi in materia di diritti umani.
Classificata all’ultimo posto per quanto riguarda libertà e diritti umani dall’organizzazione Freedom House.
Ricordiamo a questo proposito che tra i silenzi passò anche la vicenda dei 250 profughi eritrei che nel luglio di quest’anno furono tenuti prigionieri nelle stesse condizioni umane in una prigione libica all’interno di celle sotterranee nelle quali la temperatura era superiore ai 40°. Ecco che un viaggio di speranza per delle persone che accordi e convenzioni internazionali si sforzano di proteggere si trasforma in un inferno. Al respingimento spesso segue l’abbandono nel deserto libico, dove questi gruppi diventano facile bersaglio dei predoni che si spostano tra il Sudan, la Libia, l’Egitto, pagando la polizia e portando con loro questi carichi umani in attesa di un riscatto.
Quando il silenzio e l’omissione diventano il modus operandi dello Stato e del suo apparato di informazione, un senso di responsabilità umano e sociale obbliga la popolazione civile a urlare la propria denuncia. I nostri tg che continuano a propinarci gli ennesimi insignificanti sviluppi sulla morte di una ragazza, sulla scomparsa di un’altra, su bunga bunga e appartamenti a Montecarlo, hanno ignorato questa vicenda, dove invece c’è un margine di speranza. L’opinione pubblica andrebbe motivata, coinvolta, documentata, INFORMATA. Ma questo non avviene. Non può avvenire. Perché così verrebbe a galla che il migliore amico del Presidente del Consiglio (anzi il secondo miglior amico a voler essere precisi) è il primo responsabile di questo massacro di uomini e diritti. E guardando meglio si scoprirebbe che il trattato non è solo uno strumento (deprecabile) per combattere l’immigrazione clandestina ma una macchina produttrice di ingiustizie, violazioni di codici internazionali e morte.

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